DISCREZIONALITA’, PROPORZIONALITA’, RILASCIO E REVOCA LICENZA PORTO DI FUCILE, DIVIETO DETENZIONE ARMI.

Oggi parliamo di un caso molto importante e dei principi che sono stati delineati dalla giurisprudenza amministrativa, principi applicabili al diritto delle armi.

Innanzitutto è stato ribadito il concetto che l’amministrazione deve svolgere una seria istruttoria ed una attenta valutazione sul materiale prodotto dall’interessato cioè sulle memorie.

I principi cardine della decisione sono due:

PRIMO

Partiamo dal principio enunciato: “ la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di chiarire che il provvedimento di divieto di detenzione armi è illegittimo nel caso in cui, l’Amministrazione si limiti ad aderire pedissequamente alle risultanze di una denuncia, senza svolgere alcuna seria istruttoria e alcuna valutazione sul materiale prodotto dal ricorrente” ( TAR Lombardia sez. I del 18.05.2020, n. 843).

SECONDO

La Corte Costituzionale ha chiarito che la disposizione sulla licenza di porto d’armi di cui all’art. 11  del r.d. n. 773/1931 deve essere interpretata nel senso che alcun carattere immediatamente ostativo, ai fini della revoca della licenza di pubblica sicurezza può riconoscersi al fatto di essere iscritto nel registro degli indagati ovvero di aver riportato condanna in sede penale, attesa la necessità di procedere ad una concreta prognosi che tenga conto di una serie di circostanze, quali l’epoca a cui risale la condotta contestata, reiterati rinnovi del titolo di polizia nel frattempo intervenuti, la condotta tenuta successivamente al fatto di reato e fatti eventualmente sintomatici di attualità della pericolosità sociale( Corte Cost. n. 331 del 1996, cfr anche, Cons. Stato, n. 5095 del 2012 e n. 4630 del 2011).

In buona sostanza la Corte Costituzionale ovvero la suprema corte che giudica la legittimità costituzionale delle leggi ha chiarito: “ che nessun carattere immediatamente ostativo, ai fini della revoca delle licenze di pubblica sicurezza può riconoscersi al fatto di essere iscritto nel registro degli indagati o di aver riportato condanna in sede penale” ma bisogna procedere ad una concreta prognosi che tenga conto di una serie di circostanze:

  1. l’epoca a cui risale la condotta contestata;
  2. i reiterati rinnovi della licenza;
  3. la condotta tenuta successivamente al fatto reato;
  4. e i fatti eventualmente sintomatici di attualità della pericolosità sociale.

Tutto ciò sta a significare che la Questura e la Prefettura non si devono appiattire per “comodità” e con una “sorta di scarica barile” sulla esistenza di una indagine a carico del richiedente oppure di una condanna, ma occorre una PROGNOSI CONCRETA ed una autonoma valutazione, proprio perché appunto, giustamente, hanno e reclamano un potere discrezionale.

Quindi le Amministrazioni non possono negare licenze e mettere divieti con la “scusa” solo della esistenza a carico dell’interessato, di un procedimento penale oppure di una condanna panale, come troppo spesso accade.

In sintesi le Prefetture e le Questure proprio in virtù del loro autonomo potere amministrativo e discrezionale, non si devono appiattire sulle questioni del giudice penale, ma appunto hanno piena autonomia di valutazione.

Come chiarito dalla sentenza del tar Lazio sez. i ter del 24.11.2022 è da un constante indirizzo giurisprudenziale in materia, la ratio posta alla base della disposizione di legge, risiede nella opportunità di evitare che le autorizzazioni di polizia permangano nella titolarità di soggetti, che per loro comportamenti pregressi, denotino scarsa affidabilità sul corretto loro uso, potendo costituire un pericolo per la incolumità e per l’ordine pubblico. 

Ai fini dell’emissione di un giudizio di negativo di affidabilità è, tuttavia, necessario, secondo questo indirizzo interpretativo, che i precedenti comportamenti del richiedente siano sintomatici, vale a dire:

  • idonei, nell’ottica di una prognosi ex ante a sostenere un giudizio di un non corretto uso delle armi senza creare turbativa all’ordine sociale( Cons. Stato, sez. III, 22.10.2013, n. 5129).

Questo è il ragionamento che ha fatto il tribunale amministrativo ed è un principio estensibile tutta la materia specifica del diritto delle armi.

Nel caso specifico, l’illegittimità del provvedimento impugnato deriva dalla circostanza che il giudizio negativo di affidabilità nell’uso delle armi è stato formulato esclusivamente ed in via automatica, dalla esistenza di un procedimento penale e di una denuncia.

La motivazione posta a fondamento del divieto di detenzione armi, non è sufficiente a dare conto del fatto che il soggetto doveva essere ritenuto pericoloso o comunque non affidabile all’uso delle armi, mancando nella specie una adeguata valutazione:

  1. DEL SINGOLO EPISODIO;
  2. DELLA PERSONALITA’ DEL SOGGETTO;

tale da adeguatamente spiegare il giudizio prognostico sulla sopravvenuta inaffidabilità, anche alla luce del fatto che il ricorrente è titolare di licenza di porto di fucile da molti anni durante i quali non risulta mai aver avuto problemi.

La migliore dottrina evidenzia, che nell’esercizio del potere DISCREZIONALE l’amministrazione ha l’obbligo di considerare e valutare tutti gli interessi presenti in una determinata fattispecie, ma anche, e ancora prima ha l’obbligo di conoscere e valutare:

  • i FATTI su cui gli interessi si fondano e da cui scaturiscono.

Un consolidato orientamento giurisprudenziale è giunto condivisibilmente ad affermare che non è sufficiente la mera enunciazione astratta dell’asserita ricorrenza del presupposti di fatto legittimanti l’adozione di un provvedimento, dovendo l’amministrazione fornire ADEGUATA PROVA( Cons. Stat. Sez. IV del 15.11.2002 n. 7429).

In questo specifico caso del ricorso il tribunale collegiale ha rilevato anche la dedotta violazione del principio di proporzionalità.

Come noto il principio di proporzionalità esige che gli atti amministrativi non debbano andare oltre quanto è opportuno e necessario per consentire lo scopo prefissato, qualora si presenti una scelta tra più opzioni la pubblica amministrazione deve ricorrere a quella meno restrittiva, non potendosi imporre obblighi e restrizioni alle libertà del cittadino in misura SUPERIORE a quella strettamente necessaria a raggiungere gli scopi che l’amministrazione  deve realizzare( Cons. Stato 2018 n. 6951).

Cioè l’amministrazione può adottare provvedimenti meno drastici in base al principio di proporzionalità.

Conclusione: il ricorso è stato accolto, l’amministrazione è stata condannata alle spese legali, e tale sentenza ha fissato dei criteri importanti sul concetto di discrezionalità, sulla necessità di considerare effettivamente le note difensive prodotte dalla difesa nel procedimento e ha anche fissato diciamo delle linee guida sul concetto di proporzionalità. La sentenza ha inoltre stabilito il principio importante in base al quale Questura e Prefettura non si devono semplicemente appiattire sulla esistenza di una denuncia, di in procedimento penale o di una condanna penale, ma devono esercitare il loro autonomo potere attribuitogli dalla legge, devono fare una seria istruttoria e devono necessariamente valutare il materiale prodotto dal ricorrente in modo autonomo rispetto alla questione penale. 

Quindi le Amministrazioni non possono negare licenze ed mettere divieti con la “scusa” solo della esistenza a carico dell’interessato, di un procedimento penale, di una denuncia oppure di una condanna penale, come troppo spesso accade.

Prefetture e Questure hanno un potere autonomo e devono fare una valutazione autonoma rispetto alla giustizia penale.

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Avv. Sassano

Di Avv. Sassano

Avv. Sassano Costantino Valentino, laureato in Giurisprudenza presso L' Alma Mater Studiorum UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI BOLOGNA. Consulente Tecnico Esperto e Master in BALISTICA FORENSE. Esperto e Consulente Tecnico di BALISTICA VENATORIA. Master in AMMINISTRAZIONE E GESTIONE della Fauna Selvatica

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